La scuola intelligente

Editoriale di Ivana Summa

In questi ultimi mesi, che coincidono con la chiusura dell’anno scolastico 2022/2023, oltre alle solite banalità sull’esame conclusivo del 2° ciclo d’istruzione e connesse polemiche, ha occupato la scena del dibattito culturale l’irrompere dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale (IA) generativa in tutti gli ambiti dell’agire individuale e sociale. Tuttavia, è bene sottolineare che non si tratta soltanto di un sistema tecnologico avanzato che oggi rappresenta il risultato di decenni di ricerca di una disciplina che studia la realizzazione di sistemi informatici in grado di comportarsi in modo intelligente, simulando il pensiero umano. è chiaro che tale scienza, che si basa su fondamenti teorici, metodologie e tecniche in continuo ed accelerato sviluppo, non è chiusa nei suoi confini perché riguarda altre discipline. In un’epoca di eccezionali e pervasive trasformazioni non è più possibile pensare che il nuovo possa essere contenuto in confini ben precisi né che possa agire senza regole e senza mettere in discussione i comportamenti individuali e sociali. In questi giorni, con il voto del Parlamento Europeo sul via libera alla proposta di regolamento riguardante l’Intelligenza Artificiale (IA), l’Unione Europea intende definire un quadro regolatorio capace di disegnare un modello di società digitale da costruire che, pur non rinunciando alla spinta innovativa rappresentata dalle tecnologie, vuole creare un ecosistema sostenibile e in linea con i propri valori e principi.

Questo numero della rivista si apre proprio con un contributo, che riteniamo fondativo perché si pone come una sorta di introduzione all’intelligenza artificiale: che cos’è e come funziona. L’ingegnere Lorenzo Pelagalli spiega, con linguaggio accessibile anche a chi - come la stragrande maggioranza di noi - non ha familiarità con questo tipo di disciplina ma è in grado di comprenderne potenzialità e limiti. Siamo di fronte ad una macchina che crea e dobbiamo sapere come crea: “Rispetto alla concezione classica di computer, il salto è immenso. Si comincia ad usare la parola “intelligenza” perché la macchina non si limita più a svolgere pedissequamente delle operazioni predefinite che le abbiamo impartito, cioè a scalare il nostro pensiero, applicandolo con maggiore velocità a maggiori quantità di dati. Ora la macchina “impara” dai dati, per trovare in essi connessioni e significati che a volte noi a priori non conosciamo. La macchina non si limita più a scalare nostro pensiero, lo estende. E come fa ad imparare? Usando un modello matematico chiamato a reti neurali, che gli permette di formare autonomamente delle connessioni tra i dati che noi gli forniamo in una fase iniziale detta di addestramento. Una volta formate queste connessioni, le userà per valutare i nuovi dati che gli forniremo come input”. Ora, le domande (e non sono tutte!) che ci poniamo riguardano il cambiamento dei “quadri di conoscenza” e, dunque, 1) quali sono i possibili utilizzi nella scuola e per quali finalità, se di supporto o di potenziamento?; 2) quali sono gli effetti profondi provocati da questa formidabile innovazione tecnologica nel sistema di elaborazione e trasmissione della cultura sia nella società che nelle istituzioni a ciò dedicate?; 3) come va riorientata la funzione della scuola e i suoi modelli di apprendimento pensando ad un futuro che sta invadendo prepotentemente il nostro presente?.

Avremo modo di approfondire sul piano tecnico questa innovazione nei prossimi numeri della rivista, ma è altrettanto rilevante riflettere sulle possibilità di utilizzo in ambito scolastico, così come fa Gabriele Benassi che fornisce alcune indicazioni in risposta alla prima delle nostre domande. I suggerimenti che ci fornisce si riferiscono ad una didattica disciplinare integrata con il sistema dell’IA ma, a ben guardare, sono le altre due domande che devono far riflettere il mondo della scuola, ancor prima degli scienziati, dei filosofi, dei giuristi e via dicendo… . La cultura è un assemblaggio di conoscenze disciplinari che la scuola ci fornisce durante l’età evolutiva e che poi ci portiamo dietro come “bagaglio”, “cassetta degli attrezzi”, pronti all’uso nella vita sociale e lavorativa, oppure, come ci ha insegnato Karl Popper, consiste nella modificazione della conoscenza precedente? Può la scuola continuare a tramettere nozioni per conservare la cultura esistente e non per trasformarla, sapendo che esiste una tecnologia che è in grado di creare quella enciclopedia, ovvero quel compendio universale del sapere che rappresenta la cifra dell’illuminismo settecentesco? E, ancora, sono ancora validi i modelli di apprendimento e di insegnamento molto radicati nella cultura professionale dei docenti e, quel che è più preoccupante, nell’idea di scuola e della sua funzione che ancora resiste nei nostri esponenti politici, negli intellettuali e nei media? Allora, che ti tipo di “persona umana” deve formare la scuola? E quale PIL cognitivo - diciamo così, quasi in modo provocatorio - il sistema scolastico deve produrre? Prima di capire cosa questo sia, è importante mettere in gioco l’idea stessa di intelligenza umana su cui oggi in gran parte si fondano i programmi scolastici, ancora molto attenti ai contenuti e ai frames che, nelle discipline che hanno a che fare con l’intelligenza artificiale, indicano le modalità di organizzare delle sequenze di nozioni. è facile comprendere come l’acquisizione di una buona biblioteca di frames dipende dall’enciclopedia di conoscenze di cui noi, anche grazie alla formazione scolastica, disponiamo. Se è questa la strada che la formazione scolastica intende continuare a percorrere, dobbiamo comprendere che non possiamo rincorrere, né sul piano della quantità, né su quello della qualità, le biblioteche potenzialmente disponibili per i sistemi di intelligenza artificiale. Concludiamo dicendo che la scuola intelligente deve focalizzarsi sul potenziamento dell’intelligenza umana, valorizzandone le competenze creative, ermeneutiche, emotive, ovvero quelle che hanno a che fare con tutte quelle dimensioni non replicabili dell’essere umano e che lo rendono consapevole di sé e del suo essere nel mondo. E tutto ciò merita di essere realizzato per ciascuno dei nostri giovani, se non vogliamo creare una società che oggi ci appare soltanto distopica ma che - come tanta cinematografia ha già rappresentato da alcuni decenni - è quanto mai reale.

E proprio questa è la strada dell’intelligenza consapevole che ci fa percorrere Patrizio Vignola con la dettagliata descrizione di un’attività didattica realizzata in una prima classe primaria che si inscrive nello sviluppo del pensiero computazionale, superandolo attraverso l’approccio metacognitivo. Vogliamo dire che la didattica intelligente non è fine a se stessa, basandosi essenzialmente sull’ apprendimento di conoscenze da accumulare e che spesso sono effimere, superficiali e fini a se stesse; al contrario, mette in moto connessioni di varia natura, ovvero tutta la persona che apprende. Nonostante riforme, indicazioni nazionali e linee guida vadano proprio nella direzione della centralità della persona che apprende, la nostra scuola si ostina a ragionare con modelli didattici e valutativi che premiano la “bravura” degli studenti, senza curarsi di “coltivare l’intelligenza” dei nostri giovani. E il coltivare comporta processi di adattamento continuo e di continua cura di ciò che si vuol far crescere e dei contesti di crescita: nutrire con impegno, dedizione, passione.

Seguendo questo filo rosso - come coltivare l’intelligenza umana potenziandone tutte le forme e le espressioni - possiamo leggere tutti gli altri contributi, riflettendo sul fatto che nella scuola tutto ciò che si fa va collocato nella sfera della formazione integrale della persona umana. Anche il prezioso contributo del pedagogista, Andrea Porcarelli, va collocato in questa prospettiva. In un’epoca in cui assistiamo, paradossalmente e contemporaneamente, ad una secolarizzazione ed, insieme, ad un pericoloso integralismo religioso, osserva che un insegnamento dialogico della religione cattolica crea “le condizioni perché il dialogo tra le diverse esperienze religiose sia sempre più significativo e profondo, fatto di “ponti” che portino a superare alcune barriere (muri) che ancora nono sono del tutto crollate”.

Buona riflessione!

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