Le occasioni mancate e quelle da non mancare
Editoriale di Ivana Summa
Resta un arcano il fatto che, a fronte di un succedersi di un certo numero di ministri e tutti di diversa provenienza politica e professionale, nulla mai cambi nell’amministrazione della scuola: tutto cambia per non cambiare nulla. Ho deciso di parlarne non appena ho finito di leggere i contributi che sono pubblicati in questo numero della rivista e dopo aver letto i primi commenti, sui social e sulla stampa, alle prove concorsuali che si stanno svolgendo in questo periodo di primavera.
Quest’ultima lettura, come per incanto, mi ha fatto fare un viaggio a ritroso nel tempo e, infatti, mi ritrovo a quasi 50 anni fa. Siamo negli anni ‘70 e constato che i concorsi sono molto simili a quelli di adesso, con qualche variante quale: corso abilitante, tirocinio e via dicendo fino ad arrivare al rito dell’immissione in ruolo con l’anno di prova, tutor, portfolio... . La scuola è rimasta ancora ferma lì, nonostante i cambiamenti epocali di questi ultimi anni. Ho partecipato come concorrente e poi come presidente di commissione ai concorsi a cattedra; ho “subito” l’anno di prova quando ancora c’era il giuramento e la valutazione del servizio con giudizi molto rassicuranti e accomodanti; ho celebrato almeno un centinaio di “conferme in ruolo” come dirigente scolastica in giornate caldissime di fine giugno, quando tutto il comitato di valutazione non vedeva l’ora di chiudere la seduta compilando un po’ di moduli.
Le impressioni percepite in quegli anni sono ancora le medesime e sono a fondamento delle riflessioni maturate col tempo e con l’esperienza. Riflessioni che partono da alcune domande che, in un certo senso, sono indicibili per la loro semplicità. Proviamo a formularle senza la pretesa di trovare subito le risposte:
a) siamo sicuri che i concorsi siano il modo più adeguato per selezionare gli insegnanti più efficaci? E se sì, se non altro perché lo prevede la costituzione, perché non li cambiamo radicalmente?
b) siamo sicuri che i programmi di esame siano stati formulati in coerenza con le competenze che i concorrenti dovrebbero dimostrare di avere, sia pure in modo potenziale ?
Per farsi un’idea di che cosa significhino tali competenze basta leggere il C.C.N.L. /2018, art. 27 - Profilo professionale docente: “Il profilo professionale dei docenti è costituito da competenze disciplinari, informatiche, linguistiche, psicopedagogiche, metodologico - didattiche, organizzativo, relazionali, di orientamento e di ricerca, documentazione e valutazione tra loro correlate ed interagenti, che si sviluppano col maturare dell’esperienza didattica, l’attività di studio e di sistematizzazione della pratica didattica. I contenuti della prestazione professionale del personale docente si definiscono nel quadro degli obiettivi generali perseguiti dal sistema nazionale di istruzione e nel rispetto degli indirizzi delineati nel piano dell’offerta formativa della scuola”. Facendo una lettura sinottica dei bandi di concorso e di questo articolo non possiamo non pensare che i due documenti normativi si ignorino reciprocamente.
Infatti, le prove concorsuali accertano - sempre in modo limitato peraltro, le sole conoscenze (certamente non le competenze!) disciplinari e, tutt’al più, le conoscenze didattiche relative alla stesura di una unità di apprendimento. In sostanza, si vanno ad accertare quelle conoscenze che il percorso accademico concluso con la laurea già certifica, con ciò assumendosi la responsabilità della loro reale acquisizione. E ciò è sconcertante anche perché la valutazione delle competenze e delle capacità professionali ai fini di selezionare e reclutare gli insegnanti migliori è interesse esclusivo del sistema scolastico. Del resto, oggi come cinquant’anni fa, ai docenti non si è mai chiesto quali sia la funzione sociale della scuola e le finalità istituzionali del sistema d’istruzione e ciò sia sul piano nazionale ed internazionale. A questo proposito, suggerisco l’attenta lettura del contributo del pedagogista Andrea Porcarelli che propone una lettura pedagogica (e, più specificamente, pedagogico-sociale) di alcuni elementi salienti dell’ultimo Rapporto all’UNESCO: Reimagining our future together. A new social contract for education (UNESCO, 2021). Da sempre tali rapporti hanno segnato la nostra epoca, ma questa volta il rapporto ha come focus le responsabilità sociali dell’insegnante. Così si analizza l’attuale fase emergenziale per porla in relazione allo sviluppo sostenibile, alla necessità di un nuovo patto sociale e alla conseguente necessità di re-inventare i curricoli senza aggiungere materie ma riorganizzando i saperi in funzione educativa. Dopo avere ribadito il ruolo strategico che la scuola svolge per la comunità sociale, non solo in quanto si occupa della trasmissione del sapere, ma perché diviene essa stessa luogo di vita e di relazioni sociali sicure, inclusive e positive, il documento delinea anche i futuri scenari organizzativi di una scuola aperta alla comunità.
E tutti questi scenari, nei quali peraltro viviamo anche nel presente, sono consapevolmente ignorati nei nostri bandi di concorso, continuando ad applicare quello che D. Goleman, nel suo sempre attuale saggio “Lavorare con intelligenza emotiva. Come inventare un nuovo rapporto con il lavoro”, definiva quasi 30 anni fa come “il principio di Peter” che sostanzialmente ci dice - e non si riferiva ai docenti e i dirigenti scolastici - che la padronanza delle conoscenze non è garanzia di padronanza nella gestione delle risorse umane. E le nostre principali risorse umane sono proprio le giovani generazioni!
Ma il Rapporto UNESCO ci induce a leggere in modo diverso anche gli altri contributi presenti nella rivista, a cominciare da quelli relativi all’edilizia scolastica e che sono stati scritti da un architetto impegnato nell’edilizia scolastica, da un’esperta di innovazione didattica ed organizzativa e, infine da un dirigente scolastico come Daniela Barca che in questi anni sta ridisegnando tutto l’istituto comprensivo che dirige sulla base di scelte pedagogiche che guardano oltre l’emergenza e hanno radici in un territorio sempre attento alle esigenze dei bambini. Del resto, anche Marcello Verdolin disegna la sua scuola in un territorio ben preciso e con allenze con gli abitanti della scuola. Maria Grazia Accorsi disegna, in modo molto chiaro, l’alleanza con gli studenti, con gli insegnanti, con le famiglie e con gli Enti Locali.
Sempre partendo dal Rapporto UNESCO possiamo meglio comprendere il saggio di Giancarlo Sacchi che, giustamente, sottolinea la grande rilevanza della modifica degli articoli 9 e 41 della nostra carta fondamentale, la Costituzione. Nel primo l’ambiente va ad aggiungersi alla tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, nell’ambito della promozione della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. Non solo dunque va protetto il risultato dell’azione dell’uomo che merita considerazione sul piano culturale e sociale, ma anche gli equilibri naturali vanno rispettati, soprattutto se l’antropizzazione rischia di comprometterli: dallo sfruttamento delle risorse alla sostenibilità degli interventi. Da qui il lavoro dell’uomo che viene riconosciuto dall’art. 41 come esercizio di libertà anche nei confronti dell’iniziativa economica, non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza e alla dignità umana, alla salute e all’ambiente.
Particolare attenzione sarà necessaria per riflettere sui contributi dedicati alla didattica; in particolare, il saggio di Michele Visentin coglie un tema di grande attualità, tanto che il Parlamento vuole introdurre nella scuola una sorta di educazione alle competenze non cognitive, dimenticando che i docenti non sono stati selezionati come “tuttofare culturale”, buono per insegnare tutto a tutti. Si può invece, in modo accorto e competente, partire proprio dalla ri-visitazione/re-invenzione dei curricoli orientandoli concretamente al profilo in uscita.
Chiudo con la rubrica dedicata ai libri con una recensione riguardante ad un argomento di grande attualità: l’Europa. Enrico Franceschini, da grande giornalista, si fa semplice ed accattivante con un delizioso libretto - Tutti per uno. 33 storie per innamorarsi dell’Europa - impostato in modo che possa essere utilizzato immediatamente con i ragazzi che si trovano in quella delicata e fondativa fase di transizione che ha come confini da una parte l’infanzia e dall’altra l’adolescenza.