La scuola delle soft skills

Editoriale di Ivana Summa

Gli ultimi mesi del 2023 hanno visto accendersi un variegato dibattito riguardante l’educazione sentimentale, altrimenti detta educazione emotiva, educazione alle relazioni e altre locuzioni che, manco a dirlo, avevano già trovato un loro assetto in un disegno di legge del 2022, intitolato all’insegnamento delle competenze non cognitive. Potremmo dire che la scuola dell’apprendimento - pure fortemente focalizzata soprattutto sugli aspetti cognitivi come, la razionalità, la memoria, l’attenzione, il ragionamento, gli stili di pensiero, creatività - da molti anni cura, attraverso progetti mirati, quelle che sono conosciute anche come non-cognitive skills. Si tratta di competenze considerate strategiche in una visione pedagogica, psicologica ed evolutiva, necessarie per affrontare un percorso scolastico gratificante, preparare le nuove generazioni a un adeguato ingresso nel mondo del lavoro, ma anche ad affrontare la vita come cittadini attivi, liberi e consapevoli. Insomma, l’attenzione già era presente in moltissimi istituti scolastici, a cominciare dalla scuola dell’infanzia fino agli istituti di istruzione secondaria, anche perchè nel 1993 l’OMS aveva individuato 10 life skills, definendole come “competenze sociali e relazionali che permettono ai ragazzi di affrontare in modo efficace le esigenze della vita quotidiana, rapportandosi con fiducia a se stessi, agli altri”. è bene sottolineare che l’OMS definisce come life skills le competenze emotive accanto alle competenze relazionali e a quelle cognitive, in una combinazione dinamica di abilità cognitive e metacognitive, abilità interpersonali, intellettuali e pratiche accanto a valori etici. è proprio l’equilibrio dinamico tra queste diverse competenze a consentire alle persone di adattarsi e di comportarsi positivamente in modo da affrontare efficacemente le sfide della vita quotidiana e professionale, affrontando positivamente i problemi, le pressioni e lo stress, sempre mettendosi in relazione positiva con gli altri.

Tuttavia, l’onore della ribalta oggi spetta alla scoperta delle competenze emotive e relazionali a seguito dei preoccupanti atti di bullismo che interessano soprattutto i giovani e i giovanissimi, per non parlare di quei fenomeni che trovano un terreno fertile soprattutto nei social media. Non intendiamo fare un elenco dettagliato di certi fenomeni che, peraltro, hanno sempre contraddistinto il lato oscuro dei comportamenti umani, ma sono diventati preoccupanti soprattutto perché stanno contrassegnando il disagio giovanile in modo rilevante. Dunque, la scuola deve occuparsene, sia perchè è nel DNA della sua missione, sia perché, da alcuni anni a questa parte, quando c’è un’emergenza e non si sa cosa fare concretamente ci si rivolge agli insegnanti. La recente direttiva n. 83 del 24 novembre 2023 affida alle scuole, e in particolare a quelle secondarie di secondo grado, il compito di “educare alle relazioni”, individuando dei percorsi progettuali, indicando le “modalità attuative” e prevedendo uno specifico finanziamento delle attività, azioni di accompagnamento e formazione dei docenti referenti per questa nuova attività.

Ma è questa la strada giusta? Dobbiamo continuare ad ampliare sempre più i curricoli scolastici e addirittura a sovrapporre gli interventi in una logica sommatoria, affidando attività nuove ai docenti, peraltro formati e selezionati non per le loro competenze professionali di natura relazionale, pedagogica e psicologica, ma per i loro saperi di discipline e dintorni? Ad ogni cambio di ministro, la scuola deve fare i conti con cambiamenti di varia natura senza che si apra un dibattito diffuso a tutti i livelli sociali e, soprattutto, senza coinvolgere le scuole che oggi rappresentano un patrimonio di innovazioni, figlie dell’autonomia e di come questa venga veramente utilizzata per risolvere - o, meglio, fronteggiare - problemi concreti del contesto sociale in cui operano.

Alcuni contributi pubblicati in questo numero possono ben rappresentare questa nostra posizione, che è quella di dare voce alle scuole. In questa direzione va certamente il contributo di Nicoletta Morbioli che riporta un progetto realizzato al CPIA di Oristano, intitolato alla Biodanza. Questa istituzione ha operato sulla base della Legge 92 del 2019, che ha reso obbligatorio l’insegnamento trasversale dell’educazione civica per un monte ore annuale di 33. In tale norma e nelle successive Linee guida ci sono tutti i presupposti che consentono alle scuole di affrontare i temi del rispetto e dell’educazione emotivo-affettiva, oggi continuamente invocati a fronte dei recenti fatti di cronaca. La metodologia adottata dal CPIA citato, coinvolgendo esperti esterni e facendo rete con realtà territoriali, supera gli aspetti meramente istruttivi, puntando decisamente su una “didattica delle emozioni” su misura per questa fascia adulta della popolazione scolastica. In biodanza, infatti, si lavora su tre livelli neurologicamente in relazione e che si condizionano in modo positivo reciprocamente, pur possedendo la propria autonomia: cognitivo, psicosomatico e dell’esperienza vissuta.

Ma un cambio di approccio, che non è quello di aggiungere attività e progetti ma di utilizzare le discipline curriculari e interagire con le disponibilità del territorio, si coglie anche nel contributo della musicista Serena Lazzeri che, interrogandosi sulla spinosa questione dell’educazione civica, l’ attenzione è volta a trovare la soluzione più efficace, adatta ad ogni età, per creare buoni cittadini del futuro, rispettosi dell’altro, dell’ambiente e della storia. La proposta di educazione all’ascolto, attraverso la musica e sin dall’asilo (scuola dell’infanzia), prende lo spunto dal progetto dell’asilo musicale di Berlino “Music Kindergarten” messo a punto nel 2005 dal Maestro e direttore d’orchestra Daniel Barenboim, indicandone la sua missione: non educazione musicale ma educazione dei bambini con e attraverso la musica, perché non si occupa di educazione musicale, ma di cambiare l’accesso all’istruzione per ogni fanciullo grazie alla musica. La chiave vincente di questo progetto è l’ascolto, che è la chiave d’accesso della musica. Così, quasi 20 anni dopo la nascita dell’esperienza tedesca in Italia sono nate due realtà analoghe, sposando le recenti teorie di pedagogia musicale, ovvero “musica come educazione”.

In questa stessa direzione possiamo collocare il contributo di Vincenzo Palermo, docente in una scuola media e critico cinematografico, che eleva a paradigma il celebre saggio di Edgar Morin: Le cinéma, ou l’homme imaginaire del 1956, laddove il filosofo racconta il legame inscindibile e assai controverso che interconnette l’immagine all’immaginario, che ci permette di evidenziare il legame esistente tra la forma del linguaggio cinematografico e gli altri mondi in cui esso si colloca. Il cinema “cambia il rapporto tra immaginario e reale, porta quest’ultimo nel sociale; il docente, soprattutto se inserito in una progettazione partecipata insieme ad altri attori pedagogici e sociali, dovrà poi traghettare il “reale” nel “sociale” e fare interagire queste due categorie sfruttando la creatività degli alunni e la loro capacità di trasformare e trasfigurare ciò che nasce come immaginario e aspetta solo di essere adattato ai differenti ambienti di apprendimento”. Ma, in questo particolare contributo è interessante soprattutto il fatto che, lavorare sulle competenze soft comporta necessariamente una didattica attiva, un approccio multidisciplinare, il team teaching e un approccio di progettazione curriculare centrato sulle competenze. E l’autore di questo saggio si pone, coraggiosamente, il problema delle competenze del docente che riguardano soprattutto l’innovazione metodologico-didattica e la capacità di lavorare in un ambiente di apprendimento molto lontano dalla tradizione cattedratica e da un insegnamento statico, unidirezionale e strutturato. E di competenze pedagogiche ci parla Andrea Porcarelli a proposito del dirigente scolastico perché, sia pure ad un livello e in un ambito d’azione che è quello dell’istituzione scolastica affidata alla sua guida, non può rinunciare a quella cultura pedagogica fatta di spirito collaborativo, capacità di lavorare in team, capacità di ascolto. Curare questi aspetti significa creare una vera e propria comunità educante, per cui la principale capacità di un leader che opera nella scuola dovrebbe essere quella di riuscire a creare e consolidare un vero e proprio senso di appartenenza ad una comunità.

Chiudiamo con un’altra segnalazione, quella del saggio di Lorenzo Pelagalli che continua ad aggiornarci sui diversi aspetti dell’intelligenza artificiale che è già presente sia nella vita quotidiana che in quella professionale. Tra le tante informazioni di base che ci fornisce, particolare interesse assume una caratteristica del tutto assente nell’intelligenza artificiale: il buon senso. E, forse, dietro a questa locuzione, si nascondono quelle competenze non-cognitive  a cui abbiamo dedicato la nostra attenzione. X

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