Educare alla vita

Editoriale di Ivana Summa

Spesso parenti ed amici chiedono ai bambini: cosa vuoi fare da grande? I bambini, ovviamente, rispondono a seconda dei modelli di riferimento familiari e ispirandosi al personale immaginario, prodotto dall’interazione tra il mondo reale, sociale e familiare e, soprattutto, mondo mediale. L'immaginario qui è inteso come una dimensione non "altra" e opposta a quella reale, ma al contrario funzionale alla ricostruzione della realtà e delle rappresentazioni sociali. Mi ha provocato questa riflessione il bel contributo di Loredana De Simone, intitolato L’orientamento comincia dalla culla, nel quale viene ricordato che “le prime forme di orientamento prendono forma sin dalla nascita quando, nella culla, ogni bambino è stimolato a interagire con i familiari e con la realtà circostante. È in questo modo che si avviano le prime forme di apprendimento non formale che guidano il bambino alla scoperta e alla conoscenza di se stesso, della propria identità fisica, psichica e sociale. È sin dalla nascita che, attraverso stimolazioni adeguate, il bambino viene gradualmente orientato ad esprimere le proprie potenzialità e a dirigersi verso uno sviluppo armonico e integrale...” La scuola ha consapevolezza che l’orientamento è un processo complesso da sempre affidato, anche se esplicitamente soltanto da qualche decennio (L. De Simone è riuscita ad individuare il filo della storia pedagogica dell’orientamento), alla scuola in quanto luogo di formazione personale e sociale, chiamando in causa il diritto di tutti e di tutte alla costruzione, e a volte ricostruzione, di un progetto di vita significativo. Ma la complessità è inscritta nelle molteplici variabili che entrano in gioco durante il lungo processo dell’orientamento che, come abbiamo visto, comincia dai primi anni di vita e, nella sua lunga processualità, ha risvolti imprevedibili. E l’imprevedibilità dipende non solo dalla fenomenologia dell’accadere che, di fatti, caratterizza la vita umana, ma anche dalla formidabile ed accelerata fase di transizione che la società, a tutti i livelli, sta attraversando.

La domanda a questo punto è: ma allora, fermo restando il ruolo rilevante di tutte le altre componenti che incidono con diverso peso sull’orientamento dei giovani inteso non soltanto con riguardo alla sua dimensione scolastica, che tipo di “lavoro” dovrebbe fare la scuola? Finora la scuola, almeno dall’attribuzione dell’autonomia con il DPR n. 275/1999, che ha sempre dato largo spazio all’orientamento anche perché la norma citata lo ha reso obbligatorio, lo ha realizzato in diverse forme, sia indirette attraverso l’attrattività e la ricchezza dell’offerta formativa, sia dirette nelle fasi di iscrizione previste per il passaggio tra i diversi gradi di scuola. Certo, nella scuola e soprattutto nei diversi ordini della scuola secondaria di secondo grado, l’orientamento è focalizzato in modo prioritario sull’acquisizione di nuovi iscritti e, infatti, il loro incremento numerico può essere utilizzato come un buon indicatore di successo di una certa scuola che è stata in grado di mettere in campo output efficaci, ovvero azioni produttive per quella stessa scuola. Ma gli effetti di queste azioni non sempre hanno effetti positivi sull’outcome che, invece, si focalizza sui risultati di impatto, sia interni (abbandono e dispersione scolastica, ad esempio) che esterni, espressi dal successo formativo in ambito personale, sociale e lavorativo. Esistono resoconti e/o ricerche riguardanti le attività praticate nelle nostre scuole per realizzare l’orientamento, previsto dalla numerosa normativa, con riferimento all’impatto sulla dispersione scolastica, in tutte le sue forme, sul proseguimento degli studi di livello superiore e/o accademico, sull’esercizio di una cittadinanza piena e consapevole? Fare ricerca longitudinale sul successo scolastico e sul successo formativo, raccogliendo dati e utilizzando metodologie appropriate, è necessario a livello dei singoli istituti scolastici, ma soprattutto lo è a livello di sistema scolastico del nostro paese. A quanto ci risulta non abbiamo ricerche in questo ambito e anche le più recenti Linee Guida del Ministro dell’Istruzione e del Merito - D. M. n. 328 del 22 dicembre 2022 - che hanno introdotto, obbligatoriamente nelle scuole secondarie di secondo grado, la figura del docente tutor e di quella dell’ orientatore, non sono il risultato di indagini, ma di scelte politiche volte, tra l’altro, a irrobustire determinate filiere lavorative. Infatti, il docente tutor ha il compito di aiutare ogni studente ad acquisire consapevolezza delle proprie potenzialità e di supportare le famiglie nei momenti di scelta dei percorsi formativi e/o professionali degli studenti, mentre il docente orientatore ha il compito di favorire l’incontro tra le competenze degli studenti, l’offerta formativa e il mondo del lavoro per consentire una scelta informata e consapevole. Le ultime Linee Guida, come quelle dei precedenti ministri, non essendo state adottate con il supporto scientifico proveniente dal mondo della ricerca, corrono il serio rischio di non risultare efficaci.

Ma è questa la strada giusta? Nessuno può dirlo e, forse, nessuno potrà fornirci dati reali, desunti da ricerche focalizzate sull’outcome e ben strutturate per essere in grado di orientare le policy scolastiche e le politcs centrali che, a ben guardare, non vanno al cuore del problema dell’orientamento, oggi fortemente condizionato dalla formidabile accelerazione tecnologica. Eppure, i soggetti del sistema scolastico italiano, a tutti i livelli, non ignorano il fatto che l’intelligenza artificiale stia già cambiando i ruoli lavorativi, spostando la domanda da compiti manuali e ripetitivi verso attività che richiedono l’elaborazione di giudizi complessi, creatività e capacità di gestione dei processi. Mentre alcuni posti di lavoro sono a rischio di automatizzazione, altri stanno emergendo con nuove esigenze di competenze avanzate, legate all’IA. Per esempio, ciò che prima era un semplice ruolo di gestione dati, oggi può richiedere competenze - meramente tecniche ma non acquisibili a scuola - in machine learning per analizzare e interpretare efficacemente grandi quantità di informazioni. Altre, e di natura strategica, sono le competenze che le nostre scuole - fin dal primo livello di formazione - dovrebbero far acquisire. E proprio su questo problema si focalizza il contributo di Eva Raffaella Nicolò che, per la sua analisi, parte da una illuminante intuizione del sociologo A. Toffler che nel 1970 (sic!) affermava che “l’esplosione delle nuove tecnologie ha causato la radicale trasformazione dei modi di produrre, conservare, trasmettere e rielaborare le informazioni, […] I ritmi temporali con cui si sviluppano conoscenze e tecnologie sono sempre più veloci; […] diventano rapidamente obsolete; se in un passato anche recente bastava aggiornarle a ogni passaggio di generazione, ora è necessario rivederle costantemente durante la stessa vita di ogni persona”. L’autrice, che per “interrogare” Toffler, si avvale di Chat GPT (alla cui lettura diretta rimandiamo i nostri lettori), si chiede quale sia la strada che le scuole debbono intraprendere per governare questo epocale processo di transizione. La guida verso il futuro non può che passare per l’orientamento che diventa strumento e strategia per educare alla vita, innovando la didattica che deve essere orientata non sull’accumulo di conoscenze, bensì sull’acquisizione di competenze ermeneutiche, le sole in grado di interpretare la complessità del reale e, dunque, “la nuova educazione deve insegnare all’individuo come classificare e riclassificare l’informazione, come valutarne la veridicità, come cambiare categorie quando è necessario, come spostarsi dal concreto all’astratto e viceversa, come guardare ai problemi da nuove direzioni, come insegnare a se stesso”. Questo significa che, per interpretare la nuova realtà, è necessario che la scuola, per orientare in modo significativo, deve proiettarsi, fin da subito, “verso una nuova era educativa, in cui la tecnologia non è solo un mezzo di supporto, ma un vero e proprio catalizzatore di esperienze didattiche innovative e significative, in grado di aprire orizzonti e connettere gli studenti a realtà lontane e stimolanti, trasformando ogni “lezione” in un'occasione per esplorare e fare ricerca, dare un senso alle cose e comprendere, agire la conoscenza con curiosità e creatività. X

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