Scuole che pensano, tra cambiamenti, riforme ed innovazioni

Editoriale di Ivana Summa

Questo numero della rivista contiene molti contributi che riguardano le Indicazioni Nazionali del 2025, sulle quali chi lavora dentro le scuole dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione continua a riflettere evidenziando i punti di criticità e le possibili integrazioni con le proprie scelte educative, didattiche e curriculari. Gli autori dei saggi, poiché sono tutte persone di scuola, ci dicono essenzialmente una cosa: come fare ad innestare il nuovo proposto nelle I.N., dal momento che non nasce come miglioramento dell’esistente? L’esistente, infatti, nei casi riportati in questo numero della rivista, ci dice che ci sono scuole ed insegnanti che già da molti anni hanno elaborato visioni strategiche, didattiche innovative, approcci metodologici coerenti con una conoscenza interdisciplinare, semplicemente avvalendosi degli spazi concessi, per un verso, dall’autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo (art. 6 del DPR n. 275/1999) e, per un altro, dall’art. 8 del decreto citato che prevede la progettazione curriculare di Indicazioni Nazionali e Linee Guida, emanate dal Ministro. Purtroppo, questo stato di cose non può essere generalizzato, perché poche sono le scuole e limitato il numero di insegnanti che, avendo contezza della propria discrezionalità professionale e delle potenzialità dell’autonomia scolastica, fino ad oggi hanno saputo tracciare i sentieri dell’innovazione, inevitabile di fronte ai molteplici e tumultuosi cambiamenti sociali.

E proprio di questi cambiamenti è necessario ragionare per comprendere che non sono affrontabili separatamente, ma in modo integrato perché, come è agevole intuire, sono interconnessi. Innanzitutto, individuiamo i cambiamenti tecnologici, anche nella scuola, riguardano sia i processi (l’insegnamento e l’apprendimento) che i prodotti (competenze cognitive, emotive, sociali). Infatti, la seconda tipologia riguarda proprio i cambiamenti di prodotto che investono tutti i settori della società, riguardando sia le forme sociali del vivere che il mondo del lavoro e delle professioni. Ma dobbiamo considerare anche i cambiamenti culturali, perché, proprio in questi ultimi anni, stanno cambiando i modi stessi di pensare, i valori di riferimento, i comportamenti individuali e le interazioni sociali. Un discorso a parte meritano i cambiamenti culturali che riguardano le istituzioni che, proprio come le nostre scuole, fanno fatica ad affrontare la realtà emergente perché le pubbliche amministrazioni funzionano attraverso le routine organizzative sostenute dalla persistente cultura burocratica dell’adempimento, spesso fine a se stesso. Infine, ma non ultime, dobbiamo evidenziare i cambiamenti strategici nelle politiche degli stati, delle istituzioni, dei player economici. La scuola viene coinvolta in un primo epocale cambiamento strategico 25 anni fa con l’attribuzione dell’autonomia alle scuole e, in questi ultimi tre anni, da un altro cambiamento strategico, meno dirompente sul piano dell’identità strutturale delle scuole, ma molto potente perché entra a gamba tesa nei processi formativi. Ci riferiamo alle Indicazioni Nazionali del 2025 e a tutte le disposizioni normative che prevedono un vero e proprio cambiamento di rotta, proposto/imposto attraverso norme di vario tipo, ma sempre intrusive sia sul piano della libertà di insegnamento, che su quello dell’autonomia didattica.

Dunque, se i cambiamenti sono sempre esterni ed inevitabili, diverse sono le risposte che istituzioni come le scuole possono dare. Molti credono che le risposte, per il sistema scolastico, debbano venire dall’alto invocando riforme che sono norme che chiedono di essere applicate per realizzare cambiamenti predeterminati. Tuttavia, le disposizioni normative non tengono conto delle esigenze di ogni singolo contesto scolastico e delle storie che hanno saputo costruire negli anni. È come se tutti gli ospedali e tutti i medici dovessero, per legge, curare nello stesso modo ignorando le proprie competenze professionali e di ricerca e le situazioni specifiche dei singoli pazienti!

Le riforme sono una risposta top down che, attraverso la cogenza delle norme, vogliono indurre cambiamenti pensati come buoni per tutti, ma che spesso provocano risposte formali di tipo adattivo, di natura inerziale o formale; provocano certamente dei cambiamenti all’interno dei sistemi, ma molto spesso non di tipo migliorativo, sia perché sono applicati in modo burocratico, sia perché dettati da scelte politiche che, pur legittime, spesso sono lontane dalle aspettative e bisogni delle scuole. Ma, a volte, ci sono risposte che nascono dentro le stesse scuole, come esito della riflessione individuale e/o collegiale sulle pratiche in uso, delle attività di ricerca e sperimentazione degli stessi attori della scuola, provocando trasformazioni parziali o globali: è vero che sono pur sempre cambiamenti, ma cambia la qualità che è di natura migliorativa e innovativa. Tali risposte vanno classificate come vere e proprie innovazioni che nascono in modo bottom up. Sono volute ed elaborate per affrontare problemi od opportunità presenti in contesti ben precisi e hanno il grande “vantaggio competitivo” di valorizzare le professionalità esistenti. Le innovazioni, in quanto autentiche, fanno bene alle scuole e, soprattutto, fanno bene agli insegnanti. Li motivano, li gratificano, li valorizzano.

Passando ai contributi della rivista, non possiamo non evidenziare il saggio di Eva Raffaella Nicolò dal titolo “Il coraggio e la responsabilità della scelta”, che rileva nelle I.N. del 2025 uno sguardo rivolto al passato, in forte contraddizione con ciò che le scuole concretamente fanno ogni giorno. Scrive: “Alla luce di queste considerazioni, l’impressione è che si delinei una scuola ancorata al passato, disciplinarista, competitiva più che cooperativa ed in cui l’istruzione prevale sull’educazione. Ma chi opera nella scuola e ha la responsabilità di immaginare e costruire un futuro, non può permettersi, al di là del disorientamento, immobilismo o confusione. Di fronte a tutto questo, tocca a noi scegliere chi vogliamo essere. È necessario riappropriarsi di spazi per la riflessione, una riflessione avallata dagli esiti della ricerca pedagogica, psicologica, sociologica, che possa farci guardare al presente con spirito critico e possa supportarci nella scelta: che scuola vogliamo immaginare?”. Anche il contributo di Nicoletta Calzolari va nella stessa direzione perché, dopo aver ripercorso con chiarezza la lunga tradizione della scuola dell’infanzia, interviene, quasi in modo chirurgico, sui singoli punti di caduta delle IN 2025, chiedendosi quale sia l’idea di bambino/a che emerge dal testo. E conclude dicendo: “Come docenti siamo consapevoli che la sottintesa idea di bambino/a determina il fare didattico-educativo e organizzativo dello spazio-tempo scuola, questo indipendentemente dalle difficoltà oggettive e strutturali. La scuola dell’infanzia ha una lunga tradizione culturale, frutto di collaborazioni con Università e studiosi. La sua specificità è caratterizzata dal connubio di teoria e pratica che suggeriscono percorsi, progettualità, sperimentazioni e questo patrimonio non deve andare disperso”.

Che fare? Stefano Stefanel formula una proposta, dopo aver constatato che, dopo 25 anni, nella mente degli insegnanti impera ancora il format dei programmi, invitando le scuole a fare un salto culturale che “parte dalla comprensione che il curricolo è solo la declinazione delle modalità con cui si affronta un problema, un contenuto, una metodologia. Quindi bisogna capire da dove partire e come fare a raggiungere l’obiettivo. Proviamo ad applicare questa teoria ad alcune parti da tutti conosciute delle Nuove Indicazioni 2025”. Ma il fare concreto delle scuole parte dalle innovazioni in atto, frutto della capacità di riflettere con spirito di ricerca e di sperimentazione. Ed è proprio in questa prospettiva che è di grande rilevanza il contributo di Maria Salvia che oggi è Ambassador di Avanguardie Educative, ma che ha guidato per anni un istituto comprensivo contribuendo alla nascita di questo movimento che “si ispira ai principi della ricerca-azione di Dewey e Lewin, alla pedagogia emancipativa di Freire e alla didattica laboratoriale di Bruner. Il docente non è più un trasmettitore di contenuti, ma un ricercatore riflessivo che progetta e rivede continuamente la propria pratica”. Preziosissimi tutti gli altri contributi, specie quelli collocati nel settore dedicato alla didattica: Gabriele Benassi e Loto Montina che si focalizzano sulle potenzialità didattiche dell’AI; Francesca Alemanno, che riesce a far “vivere” la storia attraverso un laboratorio che privilegia un approccio emozionale e M. Rosaria Russo e M. Elisa Calascione che  sperimentano il service learning “delle parole”per trasformare le esperienze scolastiche in momenti di crescita autentica sul piano disciplinare e soprattutto umano e relazionale. Infine, di particolare interesse il contributo di Anna Armone che fa una puntuale analisi giuridica del parere del Consiglio di Stato sullo schema di regolamento recante «Indicazioni nazionali della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione».

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