Trent’anni dopo il Testo unico sull’istruzione
Editoriale di Anna Armone
Direttore Responsabile
Quarant’anni fa entrava in vigore il Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti relative alle scuole di ogni ordine e grado. È stata la legge delega n. 421/1991 a dare il via alla costruzione, da parte del Governo, della raccolta normativa tutt’oggi vigente.
L’intento di fondo è stato, allora, coordinare disposizioni talora contrastanti o di ambigua interpretazione, anche se il Testo unico non riusciva già allora e non riesce ad esaurire la disciplina in materia di istruzione. Infatti, per avere un quadro completo dal punto di vista normativo, è fondamentale considerare le seguenti altre fonti:
le disposizioni relative alla contrattazione nazionale;
la disciplina del pubblico impiego che trova applicazione anche per il personale della scuola;
tutte le norme di fonte secondaria escluse dal Testo Unico;
gli interventi legislativi intervenuti successivamente a regolare la materia scolastica.
Intanto si apriva lo scenario europeo e, con il trattato di Maastricht si fissavano gli obiettivi comuni, tra cui istruzione e formazione. Nell’incontro di Lisbona del 2000, il Consiglio europeo ha riconosciuto che l’Unione si trovava dinanzi a una svolta epocale a causa dalla globalizzazione e dall’economia fondata sulla conoscenza. Partendo da queste premesse, la Commissione Europea ha elaborato un progetto sui traguardi comuni per i diversi sistemi U.E. di istruzione e formazione.
Intanto, in questi trenta anni, nel nostro Paese, è rimasta intatta la struttura portante del sistema. In particolare, il concetto di partecipazione introdotto nel 1974 che ha anticipato uno degli obiettivi attuali della policy complessa della cittadinanza attiva. La partecipazione è stata declinata nella presenza dei genitori nel consiglio di istituto, ma anche nella forma decisionale dei collegi che avrebbe dovuto portare ad un sistema responsabilizzante. Il riconoscimento dell’autonomia decisionale del collegio dei docenti, in particolare, avrebbe dovuto stimolare la professionalità verso una sua declinazione concreta, finalizzata ad una rendicontabililtà seppure interna al gruppo sociale. In questo assetto era prevista la figura dirigenziale di vero primus inter pares, espressione del naturale sviluppo professionale del docente. Il profilo del capo d’istituto emergente dall’art. 396 declina, ancora oggi, l’esercizio equilibrato di poteri di indirizzo e coordinamento, nel rispetto della libertà professionale del docente, singolarmente o nella dimensione collegiale.
Fino al 2000 le cose della scuola sono rimaste ancorate al disegno originario pur con interventi isolati e molecolari. Il Ministro Berlinguer, alla guida dell’Istruzione dal 1996 al 2000, tenta di marcare una discontinuità con la politica degli interventi spezzettati e parziali dei governi precedenti. Pertanto, progetta una riforma dell’intero sistema di istruzione, attuata attraverso la “strategia del mosaico” composta da un insieme organico di interventi normativi capaci di delineare un nuovo percorso di studi che vada dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di secondo grado alla formazione post-diploma, all’educazione degli adulti, all’università. Da quel momento si entrerà nel vortice delle riforme legate al cambio di poltrona. L’attribuzione dell’autonomia alle istituzioni scolastiche e la correlata dirigenza conferita ai capi di istituto ha fatto il resto. Il disegno autonomistico, inserito nel più vasto disegno del federalismo a Costituzione invariata, ha perso per strada gli obiettivi e la scuola è rimasta sola nel deserto non solo “bassaniniano” ma anche successivamente nel deserto della post riforma costituzionale del 2003.
In questo scenario la l. 107 ha previsto la “semplificazione e la codificazione delle disposizioni legislative in materia di istruzione” e al comma 181 “la redazione di un testo unico delle disposizioni in materia di istruzione già contenute nel testo unico di cui al decreto legislativo 16 Aprile 1994, n. 297, nonché nelle altre fonti normative”. È stata insediata una commissione di lavoro, articolata in quattro sottocommissioni, a seguito della delega al Governo per la semplificazione e codificazione in materia di istruzione, università, alta formazione artistica, musicale, coreutica e di ricerca. Iniziati i lavori, insediatosi il Governo successivo, i lavori si sono arenati, nel solito deserto dei tartari.
Ma in questo deserto dei tartari la figura dirigenziale è stata caricata delle incombenze che gravano su tutti i dirigenti pubblici, ma con un aggravio davvero paradossale: la considerazione della scuola come una delle amministrazioni pubbliche destinatarie primarie di tutta la normativa generale. E questo perché l’art. 1, comma 2 del d.lgs. 165/2001 la include tra le amministrazioni pubbliche.
La situazione che si è venuta a creare nel corso di questo trentennio è la seguente: un assetto collegiale che, seppure fondato su una funzione definita “consultiva”, condiziona ancora, e tanto, la funzione dirigenziale che, a questo punto, si presenta assai diversa dagli altri dirigenti pubblici di seconda fascia. Il dirigente scolastico, a differenza, o meglio ad integrazione di quanto descritto nell’art. 396 del Testo unico, svolge la funzione datoriale con tutte le incombenze del caso, ma la mansione più importante del datore di lavoro è la gestione del rapporto di lavoro. Nel sistema scolastico, troviamo un caso, unico nella PA, in cui concorrono competenze dell’organo gestionale con quelle di un organo tecnico, il collegio. L’art. 7 del Testo unico è ancora vigente e lascia al collegio dei docenti la competenza relativa ad un atto di gestione fondamentale, il piano delle attività del personale docente. Senza fare alcuna considerazione di merito, come può funzionare un’organizzazione nella quale, successivamente a proposte del consiglio e parere del collegio, l’organo di gestione propone e l’organo tecnico delibera nella materia? Se questo è un aspetto critico emergente dallo sviluppo del sistema e dalla mancanza di una rivisitazione del Testo unico, l’aspetto ancora più critico di questa architettura è la mancanza della possibilità per il dirigente di intervenire sull’esercizio della professionalità docente. Se il disegno partecipativo e garantista del Testo unico, basato peraltro su prerogative costituzionali, è quello ritenuto più funzionale per gli obiettivi del Paese, allora bisogna avere il coraggio di chiarire in modo definitivo la relazione funzionale del dirigente con i singoli docenti. Magari cambiando modello di scuola... ... .
E veniamo al contenuto di questo numero della rivista. In continuità con l’editoriale, Francesco Nuzzaci richiama due sentenze che interpretando le norme di settore riconoscono una serie di poteri dirigenziali, in verità poco coerenti con l’attuale persistente Testo unico, fonte, peraltro, di pari grado al d.lgs. 165/2001. In ogni caso, l’autore ricostruisce uno stato delle cose che risulta coerente con una visione pienamente datoriale della funzione dirigenziale, alternativa, se con contrapposta al modello collegiale e partecipato. Sempre più urgente appare un intervento normativo che chiarisca l’intero quadro dei poteri e delle relazioni interorganiche.
Renato Loiero illustra le politiche nel settore dell’istruzione e della formazione come risposta alla “grande trasformazione” del mercato del lavoro. Richiama i risultati dello studio OCSE Educationat a Glance del 2024 che evidenziano per il nostro Paese (e negli altri Paesi occidentali) dei miglioramenti dei risultati scolastici e delle opportunità nel mercato del lavoro per i giovani adulti a rischio di esclusione. Secondo l’OCSE le ragioni di questi dati positivi sono da attribuire principalmente al miglioramento del mercato del lavoro(in Italia la disoccupazione al 30 agosto 2024 è scesa al 6,2% e il tasso di occupazione è aumentato al 62,2%) e a un maggiore investimento nella spesa pubblica sull’istruzione, compiuto in Italia a partire dalla prima infanzia. Partendo dallo scenario delineato dall’OCSE, il Governo italiano attraverso il primo Piano Strutturale di Bilancio di medio termine (PSB) ha cercato di individuare gli interventi necessari per continuare e consolidare l’andamento positivo che la scuola italiana ha intrapreso negli ultimi anni. Tuttavia, nei prossimi anni, l’Italia intende compiere ulteriori sforzi per raggiungere la media UE e colmare divari territoriali tra Nord e Sud e di genere, nonché, in una visione sistemica, assicurare che il sistema di istruzione e formazione meglio risponda alle sfide delle cosiddette “transizioni gemelle”, digitale e green. Per raggiungere questi obiettivi, il PSB intende mettere in atto diverse linee di azione che perfezionino e amplifichino quanto già avviato con le riforme e gli investimenti del PNRR.
Federico Bizzeti e Patrizia Giorgi affrontano in maniera davvero sistemica il tema dell’orientamento, ma centrando la riflessione sulla valorizzazione dell’autodeterminazione. Seguendo il cambiamento dei modelli internazionali, concludono gli autori, si dovrà assecondare il passaggio a una concezione dell’orientamento sempre più centrato “sulla progressiva responsabilizzazione e consapevolezza del soggetto nello sviluppare capacità di apprendere, orientarsi, costruire e ricostruire una propria identità personale e professionale”.
Alessia De Pasquale affronta un tema davvero contemporaneo, l’etica animale e la possibilità, se non necessità, di inserirla nei programmi di studio. Non esistono a livello europeo delle direttive o delle politiche comuni nel campo dell’educazione all’etica e ai valori, anche se le dimensioni dell’etica e dei valori nella scuola sono implicitamente presenti in numerosi documenti chiave, come componenti essenziali di una società sostenibile, inclusiva e basata sulla conoscenza. In questo contesto, ed in questo momento storico, l’introduzione dell’etica animale nelle scuole emerge come una necessità urgente e benefica. L’autrice propone alcuni approcci artistici per insegnare l’etica animale nelle scuole che possono costituire un metodo efficace e coinvolgente. Peraltro, sembra utile citare un estratto del protocollo d’intesa MIM e Lega Anti Vivisezione che ben sintetizza il pensiero dell’autrice: “Il MIM riconosce, tra i propri obiettivi, quello di avvicinare i giovani ai principi e ai valori dettati dalla Carta costituzionale:
favorisce la corretta attuazione dell’insegnamento trasversale dell’educazione civica e la conseguente revisione dei curricoli di istituto per l’adeguamento alla nuova disposizione normativa;
valorizza l’educazione alla convivenza civile e al rispetto degli esseri viventi, senza distinzioni di specie, quale componente fondamentale del processo educativo dei giovani”.
Francesco Baccolini analizza, in modo compiutamente esaustivo, l’innovazione apportata al codice penale dal Ministro Nordio attraverso l’abolizione del reato di abuso d’ufficio e la contemporanea introduzione dell’art. 314 bis c.p.. La riflessione sulla riforma è tutt’ora in atto, anche a seguito, in particolare, dell’ordinanza del Tribunale di Firenze, depositata in data 24 settembre 2024, che ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità dell’art. 1, primo comma, lett. b) della legge 114/2024, in riferimento, da un lato, all’art. 97 Cost. e dall’altro, agli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione, rispetto agli artt. 7, comma 4, 19 e 65, comma 1 della Convenzione di Merida, adottata dall’Assemblea Generale dell’Onu il 31 ottobre 2003, ratificata dall’ordinamento italiano il 9 dicembre 2003 e resa esecutiva con l. 116/2009.
L’articolo di Vanna Monducci esplora le caratteristiche peculiari della formazione VET, acronimo di Vocation Education and Training, un tipo di istruzione e formazione professionale che si concentra sull’apprendimento pratico e sullo sviluppo delle competenze specifiche richieste dal mondo del lavoro. La Commissione Europea promuove in maniera attiva e continuativa l’istruzione e la formazione mettendo a disposizione un fondo di 700 miliardi di Euro per gli anni dal 2021 al 2027 per lo sviluppo del settore, con una forte attenzione a garantire sostenibilità e inclusione. La VET è fortemente promossa in tutta Europa attraverso iniziative come il programma Erasmus+, che sostiene la mobilità per studenti e insegnanti. L’impegno della Commissione Europea si esplica inoltre attraverso il sostegno ai centri di eccellenza professionale (CoVE), veri e propri “ecosistemi di competenze” che rendono l’istruzione e la formazione professionale “fattori abilitanti per la ripresa e giuste transizioni verso le economie digitali e verdi”. In Italia, il sistema VET comprende sia Istituti tecnici e professionali sia percorsi di alta formazione tecnica come gli ITS. Il Ministero dell’Istruzione e del merito ha promosso interventi significativi in questo senso mediante la riforma dell’istruzione tecnico-professionale con il modello della filiera del 4+2, un percorso di quattro anni di scuola superiore e due negli ITS Academy, integrati con esperienze a contatto con le aziende. L’articolo si conclude illustrando un esempio eccellente di progetto CoVE, che ha come capofila l’Italia; il progetto GIVE (Governance for Inclusive Vocational Excellence), un progetto di respiro europeo, volto a sviluppare un modello di formazione professionale eccellente ed inclusiva
Federica Marotta nell’articolo previsto per questo trimestre ha voluto, mediante l’analisi della sentenza n.748/2023 emessa dal T.A.R. Reggio Calabria, approfondire la tematica del progetto individuale, nomenclatura con cui si vuole fare riferimento ad uno strumento attraverso il quale la persona con disabilità, riconosciuta ai sensi dell’art. 3 della L. 104/1992 (o chi la rappresenta) può richiedere una presa in carico globale, che tenga conto dei suoi reali bisogni, desideri e aspettative nei diversi contesti di vita (sanitario, sociale, scolastico, familiare, lavorativo, etc.). Anche perché la normativa in materia si interseca indissolubilmente con il Dlgs 66/17 (attuativo della L.10/2015) rubricato “Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità”, nel quale si regolano i rapporti tra il Progetto Individuale e l’inclusione scolastica per i destinatari che frequentano la scuola.
Giancarlo Sacchi fa una disamina critica della formazione iniziale dei docenti, inquadrando la tematica anche alla luce de PNRR. L’analisi è approfondita e analiticamente riportata nei diversi ambiti della formazione del docente. Vengono considerati i ruoli dei diversi soggetti istituzionali preposti all’attività formativa, le logiche accademiche e le nuove figure professionali nella scuola. Un universo complesso e scoordinato che continua a marginalizzare, come risultato, il ruolo e la funzione del docente.
Giuliana Costantini recensisce tre libri che presentano, ognuno a suo modo, profili di interesse per coloro che si occupano di educazione ed istruzione. Il primo libro, di Pierpaolo Perretti, Lo studio. Senso, sconcerto e bellezza, descrive lo sforzo, l’interesse e la volontà di studiare. L’autore, profondo conoscitore del tema, trasmette il suo entusiasmo per la cultura quale necessità di vita, ricordandoci e ricordando di ricordare ai nostri giovani che la conoscenza è soprattutto libertà. Il secondo libro, di Enrico Macioci, L’estate breve, è una storia di adolescenza vissuta in periferia, carica di nostalgia quando, a distanza di anni, il protagonista torna nei luoghi del passato inevitabilmente cambiati. Il terzo libro, di Paolo Rumiz, La rotta per Lepanto, ripercorre la storia offrendo una serie di particolari che riguardano i protagonisti ma anche i simboli.
Vincenzo Palermo propone un primo film della regista Patricia Font “Il maestro che promise il mare”. Il film racconta la biografia di Antonio Benaiges, un maestro elementare catalano, che nel 1935 viene assegnato ad una scuola di un piccolo paesino nella provincia di Burgos. Il giovane insegnante rivoluziona i canoni scolastici dell’epoca implementando un metodo educativo moderno e attento ai bisogni dei bambini, fin quando non viene assassinato dai falangisti durante la guerra civile spagnola, poiché ateo, “rosso” e fuori dai criteri socialmente accettati dal regime. Il secondo film, del regista Amarsaikhan Baljinnyam, racconta la storia di Tulgaa che fa ritorno dopo anni al suo villaggio natale nelle steppe della Mongolia per assistere l’anziano padre malato. Dopo la sua morte, sceglie di restare nella gher paterna fino «al calare dell’ultima luna piena di settembre», per mantenere una promessa fatta al padre. Nel corso della sua permanenza conosce il piccolo Tuntuulei, che vive coi suoi nonni, al quale si affezionerà come a un figlio, interpretando per il bambino la parte del genitore amorevole che a lui è mancato. Ma la data prefissata si avvicina, e Tulgaa si rende conto che gli sono rimasti pochi giorni da passare insieme a Tuntuulei prima del suo ritorno in città. Il terzo film, del regista Guillaume Nicloux, narra di una maternità surrogata. L’ultrasessantenne Joseph, vedovo restauratore di mobili antichi di Bordeaux, riceve la notizia della morte del figlio Emmanuel, rimasto ucciso in un incidente aereo con il compagno Joaquim. Da quel momento la sua missione sarà quella di rintracciare la ragazza - mamma surrogata.
Buon lavoro. X